Adito in merito allo schema di Decreto Legislativo concernente la revisione e la semplificazione delle disposizioni di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, il Garante per la protezione dei dati personali, nel provvedimento del 3 marzo 2016, ha evidenziato una serie di criticità applicative e, prima ancora, sistematiche, del testo legislativo.
L’Autorità ha infatti posto in luce come l’intervento normativo (la cui finalità è quella di modificare il previgente D.Lgs. 33/2013) non abbia contemperato adeguatamente la necessità di trasparenza che deve connotare l’agire della P.A. con il principio, di rilevanza fondamentale, di proporzionalità del trattamento. Ciò comporta, quindi, secondo il parere del Garante, la necessità di un generale ripensamento della disciplina contenuta nello schema di Decreto: ripensamento che dovrà seguire una serie di indicazioni a tutela della riservatezza dei cittadini.
Nell’ambito del predetto provvedimento, uno degli aspetti più criticati della novella legislativa concerne il c.d. “accesso civico”, ridefinito dall’art. 6 dello schema di Decreto quale diritto di chiunque ad accedere ai dati ed ai documenti detenuti dalle Pubbliche Amministrazioni, senza alcuna limitazione soggettiva da parte del richiedente e soprattutto in assenza di qualsivoglia motivazione (salvo le sole eccezioni previste dell’art. 5 bis, inerenti le ipotesi in cui l’accesso rechi pregiudizio ad interessi pubblici e privati). Attesa l’ampiezza, e dunque la genericità, dei parametri normativi, il Garante ha sottolineato come nella prassi operativa potranno rinvenirsi soluzioni diametralmente opposte, adottate dalle singole Amministrazioni senza alcuna indicazione cogente o parametro risolutivo da parte del legislatore.
L’assenza di motivazione, infatti, priverebbe la P.A. dei criteri attraverso i quali valutare l’istanza, potendo ciò esaurirsi in un’interpretazione restrittiva o, al contrario, in un accoglimento indiscriminato di qualsivoglia richiesta, ampliando ingiustificatamente il concetto di trasparenza e comunicando a terzi informazioni e dati senza alcuna ragionevole motivazione.
La soluzione prospettata dal Garante prevede l’inserimento nel testo normativo di un motivo a sostegno dell’istanza, e dunque l’attestazione della prevalenza dell’interesse del richiedente rispetto a quello dell’interessato, nonché l’oscuramento dei dati personali presenti nella documentazione alla quale si chiede di accedere. A ciò dovrebbe poi aggiungersi il generale e pervasivo divieto di comunicazioni dei dati sensibili e giudiziari, oltre a quelli che concernono i minorenni, da sempre sottoposti ad una disciplina più restrittiva e ad una tutela più incisiva sia da parte del legislatore interno che ad opera di quello comunitario.
Il Garante evidenzia inoltre come, oltre alle disposizioni generali, il Decreto dovrà comunque essere specificato attraverso un Regolamento attuativo, che dettagli le categorie di dati e di documenti suscettibili di essere oggetto di accesso. In mancanza di tale specificazione, infatti, vi sarebbe il rischio di interpretazioni difformi, anche considerevolmente, tra le Pubbliche Amministrazioni, con conseguente ed ingiustificata disparità di trattamento per i cittadini.