Il Marchio online, tra domain names e vanity URL

Scritto da Mario Michelangelo Paolini

domain

Il dilagante sviluppo della tecnologia informatica non ha risparmiato il mondo imprenditoriale, che si è dovuto adeguare alle nuove esigenze del mercato digitalizzato. L’avvento di internet ha fatto si che fosse annullata qualsiasi distanza tra imprenditore e consumatore, eleggendo il web a luogo deputato alle contrattazioni.

L’imprenditore, dunque, si trova a dover segnalare la propria presenza sul mercato virtuale utilizzando il c.d. nome a dominio, nuovo segno distintivo dell’impresa che risulta tanto più efficace quanto più simile al principale marchio dell’azienda, visto che svolge il medesimo compito di attrarre la clientela.

Riconosciuto pacificamente dalla giurisprudenza e dal c.p.i. come segno distintivo atipico dell’impresa, viene gestito secondo le regole del Domain Name System e la sua registrazione avviene sulla base di un criterio meramente cronologico, sottostando al principio dell’unicità del nome di dominio (per cui non possono esistere due domain names identici).

Ciò dà adito a fattispecie abusive quali il c.d. cybersquatting, ossia l’illecita registrazione di un nome a dominio corrispondente al marchio altrui allo scopo di sfruttarne la forza attrattiva.

Contro tali pratiche illecite le soluzioni vanno da rimedi di natura giurisdizionale (ricorso alla magistratura ordinaria) a rimedi non giurisdizionali quali arbitrato irrituale (di natura negoziale, per cui lodo non avrà efficacia esecutiva bensì di determinazione contrattuale) e procedura di riassegnazione (di natura amministrativa, pertanto impossibilitata a riconoscere alcun risarcimento del danno). In particolare quest’ultima segue le regole della Uniform Domain Name Dispute Resolution Policy (UDRP), procedura internazionale uniforme che costituisce la base per le varie procedure di riassegnazione nazionali, coordinata dall’ente di gestione internazionale dei nomi a dominio, l’Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (ICANN).

Infine, facendo un breve cenno ad un fenomeno che solo recentemente, in ottica di strategie di implementazione della visibilità del proprio brand, ha acquisito un certo rilievo: le c.d. Vanity Url.

Tale denominazione richiama l’attività di personalizzazione della sequenza di caratteri che permette di identificare e raggiungere un determinato indirizzo internet con parole chiavi uguali o simili al proprio marchio.

Trattasi di attività molto simile per funzionalità a quella assolta dal nome di dominio, cui infatti pare assimilabile per quanto riguarda la riconducibilità al novero dei segni distintivi atipici di un’impresa.

Nonostante ciò, in presenza di fenomeni abusivi di registrazione come URL del marchio altrui è quantomeno dubbia l’applicabilità delle regole del c.p.i. contro la contraffazione.

Maggiormente adeguato sembra, piuttosto, il richiamo alla disciplina della concorrenza sleale, in particolare al n. 3 dell’art. 2598 c.c., qualificando tali atti come “mezzi non conformi ai principi di correttezza professionale” e reprimendoli chiedendone l’inibitoria qualora sussistano gli ulteriori requisiti della concorrenzialità e confondibilità.

Articolo tratto da: "Mario Michelangelo Paolini, Il Marchio online, tra domain names e vanity URL” - sul sito Jei