Il binomio tra minori e social networks, sempre più spesso attuale, è stato ed è tutt’oggi foriero di numerosi dubbi e perplessità. Criticità che, a dire il vero, concernono diversi profili e differenti ambiti: per quanto attiene all’ambito giuridico, i rischi connessi all’utilizzo di tali strumenti sono sia civili che penali. Il minore può infatti, con una propria condotta attiva, porre in essere comportamenti illeciti oppure essere a sua volta oggetto di attività penalmente rilevanti.
Una delle problematiche poste (o, per meglio dire, imposte) dal predetto binomio riguarda sicuramente il trattamento delle informazioni facenti capo al minore e, prima ancora, la capacità di quest’ultimo di comprendere realmente le conseguenze della sua iscrizione ad un social network. Le indicazioni rese da questi ultimi agli utenti, infatti, costituiscono spesso mere affermazioni di principio o, all’opposto, clausole contrattuali di complessa interpretazione e quindi non certamente adatte ad un pubblico di tal genere.
Per questi motivi la legge stabilisce un limite anagrafico per l’iscrizione, fissato a 13 anni, età che si innalza fino a 16 se il social in questione è Whatsapp. Soltanto la Spagna ha previsto una demarcazione differente, elevando a 14 anni il requisito per la partecipazione alla “vita” dei social. Con tale ultima espressione ci si riferisce infatti al complesso delle relazioni che i ragazzi intessono nel mondo virtuale e che spesso costituiscono un universo parallelo: parallelo alla scuola, alla famiglia, alle amicizie. Ed è proprio per questo, e quindi per la pervasività dei social networks, che sarebbe necessario un controllo, in realtà sinergico, da parte del legislatore, della famiglia, della scuola, ovvero delle realtà che ciascun ragazzo vive quotidianamente.
Un passo decisivo sembrava potesse derivare dal nuovo Regolamento dell’Unione europea in materia di trattamento dei dati personali (2016/679), pubblicato in Gazzetta Ufficiale UE il 27 aprile 2016. Nelle disposizioni dell’atto normativo, infatti, si voleva inizialmente inserire una clausola in virtù della quale i servizi della società dell’informazione, e dunque anche quelli offerti dai social networks, fossero accessibili solo agli utenti di 16 anni. Tuttavia, nel testo approvato definitivamente dal Parlamento europeo e dal Consiglio, l’art. 8 prevede espressamente che “Gli Stati membri possono stabilire per legge un’età inferiore a tali fini purchè non inferiore ai 13 anni”.
Attraverso tale regola l’Unione europea ha dunque demandato ai singoli Paesi la previsione, da attuarsi con strumenti legislativi ad hoc, di un limite anagrafico inferiore. Qualora mancasse un intendimento in tal senso si applicherebbe la disposizione generale, ovvero i 16 anni. Nel caso poi del minore comunque al di sotto dei predetti limiti, il Regolamento prevede che il trattamento debba essere legittimato soltanto previo consenso espresso dell’esercente la responsabilità genitoriale, il quale sarà quindi onerato altresì del controllo dell’idoneità del social network ad assicurare la riservatezza del soggetto minorenne.
Ulteriore ed importante previsione concerne poi l’onere per il titolare del trattamento di verificare “in modo ragionevole” che tale manifestazione di volontà sia effettivamente ascrivibile al genitore, tenendo conto delle “tecnologie disponibili”.